Uno sguardo al futuro delle ricerche climatiche in Antartide – Intervista alla Prof.ssa Silvia Illuminati dell’Università Politecnica delle Marche
Sarà fin troppo scontato, ma siamo tutti testimoni del fatto che ci troviamo a vivere momenti di gravi difficoltà per i quali cerchiamo risposte affidabili e rassicuranti. Arduo individuarle quando a parlare sono tanti e troppo spesso poco qualificati a farlo: lo stiamo constatando con la pandemia da Covid-sars2 e, allo stesso modo, lo vediamo quando parliamo di cambiamenti climatici.
Non resta dunque che affidarsi a chi, magari da una vita, dedica i suoi studi alla Scienza per cercare soluzioni che porteranno vantaggi a tutti noi, con un atto quanto meno di saggezza, oltre che di fiducia. E’ il riconoscimento che dobbiamo a chi opera in settori quasi sconosciuti per la maggior parte di noi e per i quali non avremmo alcun titolo ad intervenire.
Ecco perché occorre rivolgersi alla Scienza (seppure l’ultimo rapporto CENSIS riporti che in Italia il 12,7 % della popolazione ritenga che la Scienza arrechi più danni che benefici!); occorre af-fidarsi alla Scienza che, nella sua dinamicità, nel corso dei secoli, ci ha portato inconfutabili soluzioni nei più disparati settori con conseguenti livelli di vita mediamente inimmaginabili anche fino ad alcuni decenni fa.
Per parlare di cambiamenti climatici ci siamo così rivolti ad una scienziata che da anni dedica i suoi studi all’ambiente, al clima e ai suoi mutamenti.
Di grande competenza e brillante comunicativa, la prof.ssa SILVIA ILLUMINATI è ricercatrice e docente presso la Facoltà di Scienze Ambientali all’Università Politecnica delle Marche di Ancona; ha partecipato a numerose spedizioni scientifiche in Antartide, nella Stazione “Mario Zucchelli” (www.italiantartide.it) ed è stata coordinatrice nazionale di un recente progetto italiano di ricerca in Antartide, a seguito di un bando Europeo; partecipa costantemente ad incontri scientifici nazionali ed internazionali ed ha già prodotto numerosissime pubblicazioni.
– Professoressa Illuminati, perché l’Antartide può essere considerato un laboratorio privilegiato per le ricerche sul clima?
Potremmo dire che l’Antartide è un’area poco contaminata che rappresenta una sorta di sentinella ambientale per qualunque fenomeno di impatto dell’uomo sull’ambiente; là si riescono ad individuare i livelli naturali dei tanti contaminanti nell’aria e si può capire quanto si sta inquinando, e come; soprattutto, però, si riesce a valutare se le misure adottate per ridurre tali contaminazioni siano efficaci oppure no. La circolazione atmosferica che coinvolge tutto il pianeta, analizzata in Antartide, dà il quadro complessivo di quanto avviene, ad esempio in Nord Europa o in Africa, a livello climatico.
– Ma come avviene tutto ciò?
Rispetto al Polo Nord che è un mare ghiacciato ed ha processi fisici diversi, in Antartide si studia la neve che cade e congela; quindi studiare le “carote” di ghiaccio antartiche è come studiare un libro di storia del clima: ci dà un’idea dell’atmosfera nel momento in cui cade la neve, poiché la neve (più ancora della pioggia) è un elemento di rimozione importantissimo, una sorta di aspirapolvere molto efficace.
– L’insieme di tutte queste analisi è ciò che viene definito “archivio paleoclimatico”?
Esattamente. Dagli inizi degli anni 2000 sono stati realizzati diversi progetti di perforazione della calotta antartica. Uno dei primi è stato TALDICE che è l’acronimo di TALos Dome ICe corE (Talos è una località in Antartide), un progetto europeo che ha impegnato Italia, Francia, Germania, Svizzera e Gran Bretagna e ha studiato il clima delle due passate iperglaciazioni, risalendo a circa 200,000 anni fa.
Successivamente è nato un altro progetto europeo di perforazioni denominato EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica); è stato un progetto di perforazione della calotta in cui gli scienziati sono arrivati a circa 2.500 metri di profondità, consentendo lo studio del clima e della composizione dell’atmosfera, indietro, fino a 800,000 anni fa.
– Anche al progetto EPICA c’era la partecipazione dell’Italia?
Sì, certo. La base di perforazione denominata DOME C, è su un altopiano a circa 3,000 metri di altezza, dove si trova la Stazione Italo-Francese Concordia, verso l’interno dell’Antartide. Proprio qui è partito di recente un nuovo progetto BEYOND EPICA – OLDEST ICE attraverso il quale si cercherà di trovare un sito per risalire allo studio del clima e della composizione atmosferica di oltre un milione e 200,000 anni fa. Ciò consentirebbe di avere una serie di informazioni climatiche sulle passate glaciazioni e inter-glaciazioni, per ottenere così dei modelli di previsione per il futuro.
– Qual è poi la destinazione di tutti questi dati? Da chi sono utilizzati?
Una istituzione come IPCC (Intergovernamental Panel of Climate Change) che è uno dei massimi referenti sui cambiamenti climatici, si affida ai dati risultanti da queste perforazioni (Taldice – Epica – Beyond Epica). Gli stessi ricercatori di IPCC partecipano a questi progetti in Antartide che viene confermato così come luogo per eccellenza per lo studio dei cambiamenti climatici.
– Risalendo indietro nel tempo di qualche decennio, già si era visto come l’Antartide fosse importante per la rilevazione, ad esempio, del “buco nell’ozono”…
Stiamo parlando degli anni ’80 (del ‘900) circa; ad oggi, non è ancora del tutto chiuso, perché le previsioni per un ripristino totale delle concentrazioni di ozono, parlano del 2060, con l’eliminazione nell’atmosfera dei clorofluorocarburi (CFC) che lo hanno provocato.
– E’ ciò che sta accadendo ora con dosi troppo elevate di CO2 nell’atmosfera?
I Paesi in via di sviluppo che stanno cercando di emergere mirando ad uno sviluppo molto simile a quello dei Paesi più ricchi, chiedono di avere lo stesso tempo di sfruttamento dei combustibili fossili che hanno avuto i Paesi occidentali. L’accordo di Parigi del 2015 prevedeva una serie di aiuti, in termini economici, verso questi Paesi, per consentire loro un cambiamento energetico con fonti alternative ai combustibili fossili. Ma in parte non è stato così. Con i Paesi in via di sviluppo alcuni nodi sembrano ancora non risolti, soprattutto per gli obiettivi a lungo termine. Si parla di “riduzione” (se non di eliminazione) della CO2 per il 2030 o 2040, ma non è realistico pensare che nel 2030 il cambiamento climatico abbia fine…
Più volte è stato ribadito da IPCC che il grave problema della CO2 nell’atmosfera è strettamente legato alla sua stessa struttura chimica, vale a dire, la CO2 nell’atmosfera non ha un meccanismo di rimozione naturale; una molecola di CO2 resta nell’atmosfera per almeno un centinaio di anni, quindi se tutti noi ora smettessimo di emettere totalmente CO2, non utilizzando più combustibili fossili, ci troveremmo comunque a smaltire quella prodotta cento, cinquanta o dieci anni fa.
– Come si ripercuote tutto ciò sul pianeta?
La Terra ha un suo sistema di omeostasi, un sistema cioè di adattamento per ritrovare un nuovo equilibrio, ma i tempi sono lentissimi, mentre l’impatto dell’uomo sul pianeta è molto più veloce. Ciò che ancora molti non hanno compreso è che questa situazione non va a discapito del pianeta che ha 4 miliardi e mezzo di anni e ha superato, nei millenni, momenti climatici opposti tra loro, il problema è la sopravvivenza dell’uomo.
– Ciò che stanno paventando alcuni movimenti o persone come Greta Thunberg …
Chiunque si occupi di cambiamenti climatici punta il dito proprio contro questo atteggiamento che non prevede un piano a lungo termine. Greta e quelli come lei, stanno dando voce a questa esigenza di guardare al futuro in modo più concreto.
Ritengo che bisognerebbe organizzare piani che vadano ben oltre il 2030 o il 2050; è inutile, al momento attuale, cercare di attribuire la “colpa” dell’attuale situazione climatica a qualcuno… occorre guardare oltre e concentrarsi sulle soluzioni.
– In che modo questo potrebbe avvenire, considerando i rapporti e le disuguaglianze tra Paesi in via di sviluppo e Paesi più ricchi?
Effettivamente – come già richiesto nell’accordo di Parigi – e, aggiungerei, rinunciando ai propri egoismi, i Paesi più sviluppati dovrebbero mettere a disposizione dei più poveri il loro know-how, le loro finanze, le loro tecnologie per aiutarli nel passaggio verso un’energia più sostenibile. E’ evidente che si tratta di un cambio di mentalità, per guardare oltre, verso una situazione di vantaggio per tutti, la razza umana è unica ed è quella che deve sopravvivere… Non si possono affrontare questi problemi a compartimenti stagni, legati ai propri egoismi.
Anche il sistema Terra è così: ci si è resi conti che ciò che accade in un luogo, non rimane lì, ma ha poi conseguenze su tutto il resto del pianeta.
– Lo si rileva anche dalle stazioni Antartiche?
Certo. Polo Nord e Polo Sud sono i luoghi in cui si formano le masse fredde di aria e acqua del pianeta. Senza questi raffreddamenti il clima e la circolazione oceanica che abbiamo oggi, non esisterebbero. Questo per ribadire che tutto ciò che studiamo e analizziamo va considerato nel complesso.
– Ho letto che anche le acque oceaniche potrebbero assorbire CO2, in che modo?
Anche in questo caso abbiamo pro e contro: se si piantassero migliaia di alberi, anche nelle città, l’esito sarebbe l’assorbimento di CO2, la creazione di ciò che noi definiamo un “pozzo”, cioè uno dei meccanismi che riducono CO2; con “pozzo”, definiamo, infatti, un processo che elimina i contaminanti. Oltre a ciò gli alberi avrebbero anche la funzione di ridurre le ondate di calore, l’inquinamento, la riduzione del particolato atmosferico.
L’assorbimento di CO2 da parte delle masse oceaniche è un meccanismo molto lento; per poter abbattere la CO2, questa dovrebbe raggiungere i fondali oceanici, e questo avviene molto lentamente, anche migliaia di anni. Inoltre, quando la CO2 entra a contatto con l’acqua, reagisce formando acido carbonico, che seppure debolmente, riduce il pH dell’acqua di mare. Se troppa CO2 passa nell’acqua di mare, la riduzione del pH si fa preoccupante e conduce all’acidificazione degli oceani. Questo processo è attualmente molto studiato perché gli organismi marini, dai pesci alle spugne hanno bisogno di un livello di pH ottimale per sopravvivere. E’ stato visto che proprio in relazione all’aumento di CO2 emessa, la barriera corallina sta sbiancando, proprio per
l’acidificazione dell’acqua degli oceani.
Con il pH troppo basso, il carbonato di calcio passa in dissoluzione e si scioglie; anche i gusci calcarei dei molluschi, con un pH troppo basso, tendono a sgretolarsi, a diventare più fragili.
In effetti, la CO2 sugli oceani ha un effetto più negativo che positivo, proprio perché il passaggio alle grandi profondità è molto lento e poco proficuo.
Ciò che è importante comprendere è che per trovare soluzioni adeguate, non si può pensare a comportamenti separati; anche per lo studio dell’ambiente servono competenze di varia natura: servono biologi, chimici, ingegneri, fisici, perché ciascuno, con le proprie conoscenze, contribuisca alla ricerca di soluzioni lungimiranti a favore di tutti. (le foto sono state fornite dalla prof. Silvia Illuminati)
The future of climate from Antarctica by Anna Rita Principi
A look at the future of climate research in Antarctica – Interview with Prof. Silvia Illuminati of the Marche Polytechnic University.
It will be all too obvious, but we are all witnesses to the fact that we are experiencing moments of serious difficulty for which we seek reliable and reassuring answers. It is hard to identify them when there are too many who speak and, too often, little qualified to do so: we are seeing this with the Covid-sars2 pandemic and, in the same way, we verify it when we talk about climate change.
Therefore, all that remains is to rely on those who, perhaps for a lifetime, have devoted their studies to Science, to seek solutions that will bring benefits to all of us, with – at least – an act of wisdom by all of us, as well as trust. It is the recognition that we owe to those people who work in sectors that are almost unknown to most of us and for which we would havo no right to intervene.
This is why it is necessary to turn to Science (although the latest CENSIS report tells us that in Italy 12,7% of the population believe that Science does more harm than good!); it is necessary to rely on Science which, in its dynamism, over the centuries, has brought us irrefutable solutions in the most disparate fields with consequent average levels of life unimaginable even up to a few decades ago.
To talk about climate change, we turned to a scientist who has been dedicating her studies to the environment, to the climate and its changes for years.
Prof. Silvia Illuminati is highly competent and brilliant in communication, she is a researcher and lecturer at the Faculty of Environmental Sciences at the Polythecnic University of Marche, in Ancona; she has participated in numerous scientific expeditions to Antarctica, in the “Mario Zucchelli” station (www.italiantartide.it) and was the national coordinator of a recent Italian research project in Antarctica, winning a European notification; she constantly participates in national and international scientific meetings and has already produced numerous publications.
– Professor Illuminati, why can Antarctica be considered a privileged laboratory for climate research?
We could say that Antarctica is a little contaminated area that represents a sort of environmental sentinel for any phenomenon of human impact on the environment; there, you can identify the natural levels of the many contaminants in the air and you can understand how much it is polluting, and how; above all, however, it is possible to assess whether the measures adopted to reduce such contamination are effective or not. The atmospheric circulation that involves the whole planet, analyzed in Antarctica, gives the overall picture of what’s happening, for example in Northern Europe or Africa, at the climatic level.
– But how does all this happen?
Compared to the North Pole, which is a frozen sea and has different physical processes, in Antarctica the snow that falls and freezes is studied; therefore, studying the Antarctica ice “cores” is like studying a climate history book: it gives us an idea of the atmosphere when snow falls, since snow (more than rain) is a very important removal element, a kind of very effective vacuum cleaner.
– Is the sum of all these tests what is called a “paleoclimatic archive”?
Exactly. Since the early 2000s, several Antarctic ice sheet drilling projects have been carried out. One of the first was TALDICE which is the acronym for TALos Dome ICe corE (Talos is a site in Antarctica), a European project that involved Italy, Germany, France, Switzerland and Great Britain and studied the climate of the two past hyperglaciations, dating back to around 200,000 years ago.
Subsequently, another European drilling project called EPICA ( European Project for Ice Coring in Antarctica) was born; it was a drilling project in which scientists reached a depth of about 2,500 meters, allowing the study of the climate and the composition of the atmosphere, back to 800,000 years ago.
– Was there Italy’s participation in the EPICA project too?
Yes, of course. The drilling base called DOME C, is on a plateau about 3,000 meters high, where the Italian-French Concordia station is located, in an inner part of Antarctica. Right here a new BEYOND EPICA – OLDEST ICE project has recently started; through it we will try to find a site to go back to over one million and 200,000 years ago, for the study of the climate and atmospheric composition. This would allow to have a series of climatic information on past glaciations and inter-glaciations, in order to obtain forecast models for the future.
– Which is the destination of all the data? Who are they used by?
An institution such as IPCC (Intergovernamental Panel of Climate Change) which is one of the leading representatives on climate change, relies on the data resulting from these perforations (Taldice – Epica – Beyond Epica). The IPCC researchers themselves participate in these projects in Antarctica which is thus confirmed as the place par excellence for the study of climate change.
– Going back a few decades in time, we had already seen how Antarctica was important for detecting, for example, the “hole in the ozon layer” …
We are talking about the 1980s; today, it is not yet completely closed, because the forecasts for a total restoration of ozone concentrations speak of 2060, with the elimination in the atmosphere of the chlorofluorocarbons (CFCs) that caused it.
– Is this what is happening now with too high doses of CO2 in the atmosphere?
The developing countries that are trying to emerge aiming at a development very similar to that of richer countries, are asking for the same time of exploitation of fossil fuels that Western countries have had . The 2015 Paris agreement provided for a series of aid, in economic terms, to those countries, to allow them an energy change with alternative sources to fossil fuels. But that was partly not the case. With developing countries, some problems still seem to be unsolved, especially for long-term objectives. They talk of a “reduction” (if not elimination) of CO2 for 2030 or 2040, but it is unrealistic to think that climate change will end in 2030…
IPCC has repeatedly reiterated that the serious problem of CO2 in the atmosphere is closely linked to its own chemical structure, that is, CO2 in the atmosphere does not have a natural removal mechanism; a CO2 molecule remains in the atmosphere for at least a hundred years, so if all of us now stopped emitting CO2 totally, no longer using fossil fuels, we would still find ourselves disposing of that produced one hundred, fifty or ten years ago.
– How does this affect the planet?
The Earth has its own system of homeostasis, that is, a system of adaptation to find a new balance, but times are very slow, while the impact of man on the planet is much faster. What many have not understood is that this situation does not go to the detriment of the planet which is 4 and a half billion years old and has overcome, over the millennia, opposing climatic moments, the problem is the survival of mankind.
– What some movements or people like Greta Thunberg are dreading…
Anyone concerned with climate change is pointing at precisely this attitude that does not include a long-term plan. Greta, and those like her, are giving voice to this need to look at future in a more tangible way. I believe that plans should be organized that go well beyond 2030 or 2050; it is useless, at the present time, to try to attribute the “blame” for the current climate situation to someone… we need to look further and focus on solutions.
– How could this happen, considering the relationships and inequalities between developing countries and richer countries?
Indeed – as already requested in the Paris agreement – and, I would add, by renouncing their own selfishness, the more developed countries should make their know-how, their finances, their technologies available to the poorest countries in order to help them towards a more sustainable energy. It is evident that it is a change of mentality, to look beyond, towards a situation of advantages for all, the human race is unique and it is the one that must survive… You cannot face these problems in watertight compartments, linked to your own selfishness.
Even the Earth system is like this: it has been realized that what happens in one place does not stay there only, but has consequences for the rest of the planet.
– Is this also detected from the Antarctica stations?
Certainly. North Pole and South Pole are the places where the cold masses of air and water of the planet are formed. Without these coolings, the climate and ocean circulation we have today would not exist. This is to reiterate that everything we study and analyse must be considered as a whole.
– I read that ocean waters could also absorb CO2, how?
Also in this case we have pros and cons: if thousands of trees were planted, even in cities, the result would be the absorption of CO2, the creation of what we call a “sink”, that is, one of the mechanisms that reduce CO2; with “sink”, we define, in fact, a process that eliminates contaminants. In addition to this, the trees would also have the function of reducing heat waves, pollution, and atmospheric particles.
The absorption of CO2 by the ocean masses is a very slow mechanism; in order to break down CO2, it would have to reach the ocean floor, and this happens very slowly, even thousand of years, but, at the moment, we cannot afford any slowness. Furthermore, when CO2 comes into contact with water, it reacts by forming carbonic acid which, albeit weakly, reduces the pH of seawater. If too much CO2 passes into seawater, the reduction of pH becomes worrying and leads to the acidification of the oceans. This process is currently highly studied because marine organisms, from fish to sponges, need an optimal pH level to survive. It has been seen that precisely in relation to the increase in CO2 emitted, the coral reef is bleaching, precisely due to the acidification of the ocean waters.
With the pH too low, the calcium carbonate dissolves; even the calcareous shells of molluscs, with a pH that is too low, tend to crumble and become more fragile.
Indeed, CO2 on the oceans has a more negative than positive effect, precisely because the transition to great depths is very slow and not so profitable.
What is important to understand is that, in order to find adequate solutions, one cannot think of separate behaviours; for the study of the environment, various skills are requested: biologists, chemists, engineers, physicists are needed, so that each one, with his/her own knowledge, contributes to the search for far-sighted solutions for everyone. (the photos were provided by prof. Silvia Illuminati)