Alla vigilia della Biennale di Architettura 2014, facciamo una breve sintesi della precedente edizione 2012.
Allora si partì dalla seguente considerazione: “il termine Common Ground in Inghilterra viene usato soprattutto in politica e, in particolare, con il verbo al condizionale. Common Ground è così quello spazio condiviso, in cui due o più persone dichiarano di aver probabilmente trovato un punto d’incontro”.
David Chipperfield, direttore della 13a Mostra internazionale di Architettura 2012, spiegava così la locuzione presa in prestito per dare il titolo alla sua Biennale. Il direttore, puntando sul “potere collettivo dell’architettura”, chiedeva agli architetti di sviluppare un dialogo comune per affrontare le questioni ed i temi critici attuali. Le crisi, quella economica mondiale e quella d’identità dell’architettura, il divario tra architettura e società civile, l’architettura come manifestazione di valori collettivi sono stati i temi fatti propri dalla selezione di architetti da cui Chipperfield è partito e che, a loro volta, hanno coinvolto altre personalità. In questo modo si è costruito un meccanismo di “auto-curatela” molto interessante.
Lo spazio condiviso è un terreno fertile alle interpretazioni e spesso scivoloso per chi ha deciso di affrontarlo singolarmente o da una posizione di vantaggio. I gruppi che si sono formati, per questa mostra o nella prassi della professione, sulla base di ricerche comuni e – diventando essi stesi uno spazio condiviso – sono quelli che hanno proposto le idee più interessanti e le opere migliori.
Urban-Think Tank con Justin McGuirk, vincitori del Leone d’oro, portando al centro dello spazio dell’Arsenale la “viva” riproduzione di un ristorante popolare di Caracas, hanno risposto perfettamente alle richieste di una riflessione sul Common Ground. Come spiegano “il cibo funge da livellatore sociale: condividere un pasto è il modo più conviviale di scambiare idee”. Dagli schermi televisivi, caratteristica tipica di questa tipologia di spazio pubblico, hanno illustrato le estese ricerche svolte dal gruppo sulla Torre Confinanzas, chiamata Torre de David, un grattacielo incompiuto di quarantacinque piani occupato abusivamente da anni. “Questa favela verticale popolata da una comunità piena di vita e contenente ristoranti e negozi improvvisati si erge a simbolo del self-empowerment delle comunità urbane”.
I padiglioni nazionali, nei loro esempi più virtuosi, ci comunicano che lo spazio condiviso si compie nell’unione tra le persone e l’architettura: attraverso il suono e la percezione sensoriale nel padiglione polacco, ed in maniera esponenziale nel padiglione giapponese, premiato anch’esso con il Leone d’oro. Il commissario Toyo Ito, subito dopo il sisma, ha proposto un progetto intitolato “Casa-per-tutti”, nel tentativo di offrire a chi ha perso la propria casa nel sisma un ambiente dove poter “respirare un po’” e ricominciare. Caratteristica della “Casa-per-tutti” è la cooperazione tra coloro che realizzano la struttura e coloro che vivono in essa, uno spirito di solidarietà e collaborazione. Un processo mediante il quale ci si appropria in maniera palese dell’architettura, divenendo un tutt’uno con essa. Senz’altro uno dei pochi esempi di architettura come strumento di impegno sociale, qualità tipica di questa generazione digitale di architetti e, francamente, poco rappresentata nella biennale 2012.
Daniele Ficociello, Domiziana Coracci